«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma» — Antoine-Laurent de Lavoisier
Viviamo in un periodo di importante di trasformazione e innovazione, sia di pensiero che digitale. In questo periodo, in cui le tecnologie permettono di mettere a terra qualsiasi idea innovativa, ognuno deve imparare ed essere in grado di raccogliere la scintilla dell’innovazione che ha in sé, in qualsiasi settore.
La Trasformazione Digitale, per esempio, permea tutte le aziende e la nostra vita e, oggi, molte tecnologie, anche avanzate, sono alla portata di realtà anche piccole e medie: se non intraprendiamo un percorso di trasformazione perdiamo “terreno” e competitività sul mercato.
La trasformazione riguarda quindi i processi, che hanno una componente tecnologica sempre più forte, ma è fondamentale lavorare sulla componente umana e delle relazioni così come, dal punto di vista della formazione, occorre considerare nuove competenze per costruire un futuro professione che sia adeguato (ibrido e specializzato allo stesso tempo).
In questo ultimo senso, dobbiamo parlare di Transizione Relazionale
(cit. Avv. Oscar Legnani)
La contemporaneità, dunque, è anche cambiamento relazionale e la professione legale, che fonda la sua cultura nella relazione, non può sottrarsi alla necessità (ma diremmo all’entusiasmo e all’opportunità) di innovarsi: viviamo una continua evoluzione che riguarda strumenti, prodotti, servizi, organizzazioni, sistemi.
Per altro, tutto questo coinvolge la necessità di comunicare: anche il mondo giuridico deve preoccuparsi della qualità della comunicazione, perché incertezza e oscurità rischiano di influenzare negativamente l’effettività di norme, atti giudiziari e testi giuridici.
Siamo chiamati a operare in questa dimensione con le nostre competenze e con la nostra professionalità, ma anche come professionisti e professioniste della relazione: non solo verso il cliente – che dobbiamo aiutare, tutelare, valorizzare – ma anche verso la pubblica amministrazione, gli uffici, i magistrati, i legislatori, i sistemi nel loro complesso. Non possiamo solo restare affascinati da questo processo e farci gestire, ma dobbiamo prendere parte all’innovazione.
Allora qual è il modo di essere innovatori, restando professionisti e professioniste nella relazione? Dobbiamo mettere a disposizione degli altri non solo la nostra competenza, sensibilità e cultura giuridica, ma anche usare un metodo che ci permetta di innovare continuamente, rimanere al passo ed erogare nuovi servizi.
La professione legale deve quindi trasformarsi secondo tre direttrici che identificano l’innovazione e la trasformazione digitale: la tecnologia, la persona e il processo. Per far ciò, una via da intraprendere è rappresentata dal legal design, ossia l’applicazione del design thinking al mondo legale.
In passato il design è stato il sinonimo di progettazione e disegno industriale: ciò che trasforma il mondo abitato dall’essere umano con l’obiettivo di rendere la realtà migliore, più confortevole, allineata alle esigenze delle persone.
Dagli anni Novanta, con il passaggio all’informatica e al digitale, il design si è espanso enormemente e si è riconfigurato come un’attività interdisciplinare distribuita e collaborativa che riguarda il progetto globalmente inteso.
Il design thinking è la capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione e una gestione creative per migliorare, dare confort e bellezza alla vita quotidiana. La base del design thinking è un approccio integrato che riflette il modo di ragionare lateralmente di chi lo applica. Proprio per questo motivo non esiste un solo processo di design thinking, ma ne esistono vari.
All’interno di questa diversità si possono individuare cinque fasi: empatia – in cui dobbiamo capire fino in fondo chi abbiamo davanti, cosa ci viene richiesto da questa persona e perché; definizione del problema da risolvere; ideazione – fase più creativa in cui si cerca qualsiasi idea che possa risolvere il bisogno; prototipazione – in cui si inizia a realizzare veramente l’idea ritenuta più aderente a seguito di questo processo di brainstorming; test – la fase che valida l’idea e implica la ricerca di un riscontro.
Come applicare tutto questo al mondo legale?
La prima applicazione di legal design risale al 1992, quando la dottoressa Colette Brunschwig lo ha teorizzato per rendere visuali le norme giuridiche al fine di semplificarne la comprensione. Da allora si sono sviluppate varie definizioni; quella più accreditata e conosciuta è stata elaborata dalla professoressa Margaret Hagan dell’Università di Stanford. Questa visione considera il legal design come l’incrocio di tre cerchi: il primo riguarda l’approccio che mette al centro l’utente (e quindi, il design thinking), il secondo cerchio è rappresentato dallo sviluppo e utilizzo della tecnologia e il terzo è il mondo del diritto. Questa intersezione deve poter realizzare un sistema legale migliore, in cui le persone sono in grado di conoscere, proteggere e azionare i propri diritti, risolvere i propri problemi e migliorare le proprie relazioni.
I principi che fondano i processi di legal design sono i medesimi del design thinking: mettere la persona al centro (il destinatario del documento, del servizio, del prodotto legale) e focalizzare l’attenzione su di lei per rendere tutto questo intuitivo e semplice da utilizzare, utilizzando un linguaggio semplice e chiaro e inserendo elementi chiarificatori, come un indice, un riassunto per ciascuna clausola, diagrammi, schemi, icone, immagini (fino a utilizzare, in alcuni casi, la tecnica del fumetto).
L’occhio umano interpreta le immagini in maniera più veloce rispetto alle parole: il percorso di Legal Design non prevede solo di un abbellimento superficiale del testo inserendo qualche immagine o elemento visuale, ma è un processo più complesso dove l’estetica diventa funzionale come mezzo per facilitare la lettura e la comprensione.
In definitiva, anche l’innovazione legale si realizza sui tre assi fondamentali di tecnologia (imprescindibile), processo e persona, l’essere umano è la stella polare del nostro agire e il processo è considerato non solo in senso procedurale, ma di ragionamento e argomentazioni logiche e giuridiche. Con il legal design si segue proprio questa direzione.
Ne è dimostrazione lo smart (legal) contract, uno degli esempi più attuali e all’avanguardia di legal design che abbiamo a disposizione, perché tocca tutti gli assi (anche se, al momento, sbilanciato verso quello della tecnologia) e riguarda l’introduzione dei dati, dell’internet of things, della blockchain nella negoziazione e nella redazione di testi contrattuali. È certamente uno strumento ancora in via di evoluzione, ma cominciare a studiarlo e ad approfondire i suoi risvolti giuridici e relazionali sicuramente è un esercizio al quale ogni professionista del diritto non dovrebbe sottrarsi per sua crescita professionale.
— Intervento di Avv. Oscar P. Legnani, Avv. Beatrice C. Pirovano, Ing. Alessandro A. Curti in occasione dell’evento di alta formazione della Scuola Forense Vittorio Emanuele Orlando “Storytelling per Avvocati. Atto, Contratto, Parere e Legal Design” presso l’Ordine degli Avvocati di Roma il 26 aprile 2022.