“Non lasciare indietro nessuna persona”
è uno dei 17 punti dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: il decimo obiettivo promuove l’inclusione sociale, economica, culturale, finanziaria e scolastica anche attraverso gli strumenti tecnologici.
Ma cosa significa “inclusività”?
Quando si parla di DE&I (Diversity, Equity and Inclusion) si fa riferimento al quadro concettuale che promuove la costruzione di un ambiente equo, rispettoso e accogliente per chiunque, a prescindere dalle differenze individuali e anzi riconoscendole e valorizzandole, così da massimizzare il potenziale di ogni persona coinvolta.
Le differenze considerate più impattanti e a cui gli interventi si rivolgono riguardano disabilità, etnia, generazione, genere, orientamento sessuale e religione.
La tecnologia non è un elemento che trascende la realtà, ma si innesta sui tessuti sociali ed è soggetta alle loro le dinamiche. Dovrebbe essere pensata innanzitutto per le persone, nella loro totalità: per questi motivi non può prescindere dai temi di DE&I.
La necessità di una tecnologia che tenga conto delle questioni di Diversity, Equity and Inclusion è evidente quando si parla di Intelligenza Artificiale (Artificial Intelligence – AI).
Il tema dell’intelligenza artificiale, dei suoi limiti e del suo potenziale impatto sulle persone ha avuto gli onori della cronaca recente:
- da una parte, in considerazione della rapida diffusione di sistemi sempre nuovi e performanti di AI, in particolar modo quelli basati sul machine learning e quindi su algoritmi in grado di esplorare e studiare schemi di dati (maggiore è la quantità di questi dati, più raffinato sarà lo studio) e apprendere, in maniera autonoma, automatica e automatizzata da questi schemi, per poter predire alcuni comportamenti;
- dall’altra, per la posizione assunta dal Garante Italiano per la protezione dei dati personali a marzo 2023, che ha interrotto, temporaneamente, l’accesso a ChatGPT (oggi già ripristinato) da parte degli utenti localizzati sul territorio italiano “sospendendo” il proprio giudizio su una possibile illegittimità dei trattamenti di dati personali effettuati da Open AI, società che ha programmato ChatGPT, proprio per il training dell’Intelligenza artificiale e durante il suo utilizzo da parte degli utenti.
L’AI è stata spesso accusata di discriminazione: capita che le risposte fornite dai sistemi di Intelligenza artificiale contengano riferimenti razzisti, sessisti, abilisti (l’abilismo è la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità: si presuppone che tutte le persone abbiano un corpo senza disabilità e quindi questo è l’unico che viene considerato).
Ciò avviene perché il materiale, i data set su cui l’AI viene addestrata, è ricco – forse anche inconsapevolmente – di bias cognitivi (ossia di distorsioni delle valutazioni causate dal pregiudizio di chi valuta) e stereotipi, oltre a provenire solo da determinate zone del globo, o principalmente da un genere, ed escludendo quindi un’infinità di prospettive.
Ecco che emerge la necessità di correttivi e rimane fondamentale l’intervento umano.
La tecnologia, così come la natura, è neutra: non è buona o cattiva, quello che fa la differenza è l’utilizzo che ne viene fatto e quindi la componente umana.
Una tecnologia inclusiva è anche una tecnologia a cui chiunque possa accedere.
La tecnologia può e deve diventare uno strumento a favore dell’inclusione e dell’autonomia di persone con disabilità: può portare a un miglioramento della qualità della vita, può impattare positivamente sullo studio, sul lavoro, sulla riabilitazione di disabilità temporanee, sulle possibilità relazionali e comunicative.
Pensare a strumenti che facilitino l’inclusione non basta: si devono realizzare interventi che rendano la tecnologia raggiungibile e utilizzabile per ogni persona.
Questo tipo di educazione riguarda anche le generazioni più giovani: si deve favorire un processo dai primi anni di scuola che insegni a utilizzare la tecnologia in modo consapevole. Inoltre è fondamentale combattere gli stereotipi di genere legati alle materie STEM – science, technology, engineering and mathematics – ripensando i percorsi formativi e il canone delle discipline.
Ma l’accesso alle tecnologie e il loro pieno utilizzo da parte di chiunque rappresentano non solo un “dovere”, ma un vero e proprio “diritto” anche per le imprese, che attraverso i processi di trasformazione digitale possono abilitare nuove infrastrutture, nuove relazioni virtuose e vantaggiose e creare nuovi modelli di business.
Molti soggetti (imprenditori, filosofi, scienziati, legislatori) definiscono questo periodo di “rinascimento” tecnologico un punto cruciale: un momento normativamente decostruito, terreno fertile per costruire e ricostruire le regole di un mondo migliore, più moderno e più equo.
tuttavia, l’intersezione di temi che riguardano etica, responsabilità, libero mercato e libertà delle persone rendono l’argomento uno dei più controversi e difficili da regolamentare.
È, infatti, estremamente complesso definire, normativamente e “una volta per tutte” i confini, i limiti di utilizzo e le responsabilità delle nuove tecnologie e quindi dell’Intelligenza Artificiale, senza che questo sfoci in un limite allo sviluppo e al progresso tecnologico.
La natura dirompente di sistemi di intelligenza artificiale solleva delicate questioni in materia di privacy, diritti di proprietà intellettuale, responsabilità e responsabilizzazione, e desta preoccupazioni in merito alla potenziale difficoltà di riconoscere informazioni distorte da quelle reali.
Non è un caso, quindi, che il Regolamento Europeo sull’Intelligenza Artificiale (il primo tentativo in questo senso, al Mondo, e considerato uno dei pilastri principali della Strategia Digitale dell’Unione), nonostante i due anni di serrate discussioni (la prima proposta di regolamentazione sistematica dell’AI risale, infatti, all’aprile 2021), non abbia ancora “visto la luce” – anche se è di pochi giorni fa la notizia dell’adozione, da parte del Parlamento Europeo, di un accordo politico sulla bozza di nuovo Regolamento, che dovrà ora essere esaminato in adunanza plenaria nei prossimi mesi.
La realtà è molteplice, e ciò costituisce la bellezza che caratterizza il genere umano: la rappresentazione, la considerazione e l’accoglienza della sua vastità sono fonte di ricchezza. L’inclusività rappresenta una sfida in ogni ambito, anche quello tecnologico e regolamentare, ma anche un’esigenza sempre più incalzante nella società contemporanea.
È il motore di un futuro tecnologico migliore.