Nel contesto economico attuale, sempre più imprese sono chiamate a considerare e valutare non solo i propri risultati finanziari, ma anche il loro impatto sociale, ambientale e sulla comunità in cui sono inserite.
In questo contesto, comunicare in maniera corretta queste informazioni e valutazioni ha assunto un ruolo centrale per la trasparenza e la responsabilità delle Imprese, nel contrasto a fenomeni di washing, deleteri per l’immagine e la credibilità delle imprese e per il mercato in generale.
L’evoluzione normativa e l’aumento della consapevolezza e delle aspettative da parte degli stakeholder rilevanti hanno reso evidente alle aziende (di ogni dimensione) la necessità di comprendere e implementare efficacemente politiche di sostenibilità e strumenti di reporting adeguati, per rimanere competitivi e responsabili in un mercato globalizzato.
Ma quali sono questi strumenti?
Esistono diverse tipologie di strumenti di rendicontazione non finanziaria, che possono essere adottare per obbligo di Legge, (è il caso, per esempio, del cosiddetto report di impatto di beneficio comune previsto per le società benefit[1], o del bilancio sociale degli enti del terzo settore, oppure ancora della dichiarazione non finanziaria inclusa nella relazione sulla gestione delle aziende di grandi dimensioni), oppure su base volontaria.
Informativa non finanziaria
Storicamente, gli obblighi di rendicontazione non finanziaria su ambiti relativi alla sostenibilità dell’Impresa sono stati previsti per le “grandi Imprese”.
La Direttiva 2014/95/UE sulla divulgazione di informazioni non finanziarie e di informazioni sulla diversità da parte delle imprese (recepita in Italia con D. Lgs. n. 254/2016) ha imposto, infatti, solamente a determinate imprese di grandi dimensioni (ovvero gli Enti di interesse pubblico rilevanti) di divulgare informazioni non finanziarie relative a questioni ambientali, sociali e relative al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta alla corruzione (cosiddetta responsabilità sociale d’impresa – corporate social responsibility).
Oltre a prevedere una base abbastanza ristretta di Aziende vincolate (pur prevedendo la possibilità di rendere la “dichiarazione non finanziaria”, su base volontaria, per tutte le imprese italiane), la normativa relativa alla dichiarazione non finanziaria non stabiliva standard di reporting specifici.
Le Imprese (obbligatoriamente o volontariamente soggette agli impegni di informativa non finanziaria) erano dunque libere di scegliere e di adottare gli standard che più ritenevano adeguati alla propria realtà e alla narrazione dei propri impatti sulle tematiche di sostenibilità, rendendo complessa la comparazione tra i diversi report e risultati di impatto.
Pertanto, le necessità di:
- allargare la platea di soggetti tenuti alla disclosure di informazioni negli ambiti ESG,
- fornire al pubblico degli stakeholder informazioni ulteriori rispetto al “mero” bilancio economico,
- rendere maggiormente comparabili tali informazioni tra le diverse realtà (circostanza fondamentale, specie nel mondo della finanza)
hanno portato, nel dicembre 2022, all’approvazione della Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD (n. 2022/2464), la Direttiva sulla rendicontazione societaria di sostenibilità.
Rendicontazione societaria di sostenibilità
La Direttiva introduce un approccio integrato e olistico, in cui informazioni finanziarie e non finanziarie sono prese in considerazione e valutate in maniera indissolubile, perché indissolubile è il legame che esiste tra valori finanziari generati dall’Azienda e i valori immateriali perseguiti dall’Azienda sui temi dell’ambiente, del sociale e della propria governance.
La CSRD è entrata in vigore nel gennaio 2023 (con obbligo di recepimento da parte degli stati membri entro luglio 2024) ed estenderà gradualmente (2024 per gli enti di interesse pubblico rilevante, 2025 per le grandi imprese non quotate, 2026 per le PMI quotate) i propri requisiti di rendicontazione a un numero maggiore di aziende.
Le principali novità della CSRD sono:
- attenzione alla catena del valore: l’impresa deve prendere in considerazione tutta la propria catena del valore, e non solamente i propri processi e azioni interne,
- implementazione degli obiettivi ESG nelle strategie aziendali di breve, medio e lungo termine,
- identificazione del ruolo strategico degli organi di amministrazione, gestione e controllo dell’impresa nella definizione della strategia aziendale di sostenibilità (e previsione di forme di incentivazione dei membri di questi organi legate al raggiungimento degli obiettivi ESG),
- necessità per l’azienda di valutare non solo l’impatto delle proprie attività sulle persone e sull’ambiente circostanti, ma anche (al contrario) di considerare il modo in cui i fattori di sostenibilità incidono sull’azienda stessa e sui propri risultati,
- obbligo di assurance, ossia di revisione del report di sostenibilità da parte di auditor certificati e indipendenti,
- introduzione di un unico standard di rendicontazione, stabilito a livello europeo: gli European Sustainability Reporting Standard – ESRS,
- inserimento delle informazioni non finanziarie in una sezione apposita della relazione sulla gestione allegata al bilancio finanziario della società.
Una strategia vincente
In questo contesto, è evidente che l’attività di reporting rappresenta il completamento di un’azione ben più complessa, che riguarda l’intera azienda, la sua visione del Futuro e la missione che si propone di perseguire.
Infatti, la rendicontazione di sostenibilità diventa una componente essenziale della strategia aziendale, all’interno della quale confluiscono valutazioni e considerazioni su:
- le analisi svolte sul contesto di sostenibilità (interno ed esterno) in cui l’azienda opera,
- l’individuazione della concreta strategia di sostenibilità adottata e tradotta in obiettivi effettivamente realizzabili e misurabili,
- il progetto e il programma di riprogettazione della governance e del modello di business aziendale.
Per questo, è un percorso prima di tutto di consapevolezza del ruolo dell’Impresa, chiamata a essere protagonista del cambiamento, anziché subirlo.
Le imprese che adottano una strategia di sostenibilità completa, che integra sia aspetti finanziari che non finanziari, dimostrano un impegno concreto verso la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa.
Questo non solo favorisce la fiducia degli stakeholder, ma contribuisce anche alla costruzione di un futuro migliore, per chiunque.
[1] Le società benefit sono aziende che, per espressa decisione dei soci, esercitano una attività economica non solo per ricavarne (e distribuirne) utili, ma anche per perseguire una o più “finalità di beneficio comune”, e per missione statutaria, in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti dei propri stakeholder (comunità, territori, ambiente, dipendenti, enti e associazioni). Per questo motivo, le società benefit sono tenute a redigere annualmente un report di impatto, che descriva in che modo e in quale misura l’attività aziendale ha contribuito al raggiungimento degli obiettivi sociali previsti dallo statuto, quali sono state le azioni concrete intraprese, quali saranno i piani e gli impegni per il futuro nelle aree di interesse e beneficio comune.